Mi sono interessata al mondo animale per una forma di terapia personale, oltre che per studio accademico e professionale. Sono stata zoologa, ancor prima di essere biologa, ancora prima di essere nutrizionista. Eppure non sono vegetariana, né vegana, perché non reputo questa visione della vita degna di uno studioso del mondo naturale. L’uomo non è completamente parte di questo regno, ma esiste in un piano che si interseca con quello in cui l’animale si manifesta. Abbiamo in comune molti aspetti della fisiologia, della genetica e del comportamento con gli animali, eppure non siamo completamente simili a nessun animale. Noi siamo al di fuori del regno animale, ma possiamo entrare in armonia con chi vi appartiene e da questa relazione possiamo trarre enormi benefici, sia per il dominio fisico che per quello immateriale e spirituale. Gli animali hanno sempre fatto parte della nostra visione del mondo, svolgendo una funzione di collegamento con elementi metafisici e anche divini, in molti casi. Gli animali sono stati guida, simbolo, riflesso degli Dei, congiunzione con il mondo sovrasensibile. Si esaminavano interiora degli animali per comprendere il volere degli Dei e questo vuol dire che quella sapienza prevedeva l’uccisione degli animali stessi.
Per questo motivo non si può escludere dalla vita dell’uomo la relazione con gli animali, siano essi uccelli o mammiferi o rettili o insetti. Questo motivo mi ha spinto a occuparmi di etnozoologia, una disciplina totalmente nuova, in ambito accademico e scientifico che è nata dalla necessità moderna – purtroppo – di concettualizzare una conoscenza che in tempi arcaici era innata nella tradizione dei popoli e delle civiltà. La vita animale insegna all’uomo le leggi della natura, ricordandogli che anche noi umani, nella nostra manifestazione fisica e materiale, dobbiamo sottostare a queste leggi per non soccombere.
L’istinto non ci è proprio, ma possiamo apprenderlo dall’animale, che lo possiede, enormemente più sviluppato del nostro.
Un altro aspetto è da comprendere: l’animale ha sempre fatto parte della civiltà umana anche come fonte di nutrimento e non è questo un elemento facilmente oscurabile dietro le ideologie sentimentali moderne. Il vegetarianesimo, in passato, nelle civiltà arcaiche, era una pratica circoscritta ad alcune sette oppure ordini religiosi o sacerdotali che ritenevano gli alimenti di origine animale non adatti a una certa forma di rigore spirituale.
La scuola pitagorica (VI secolo a.C.) è forse l’esempio più noto di un movimento antico che promuoveva l’astensione dal consumo di carne (ἔμψυχον ἀπέχου – astenersi dagli esseri animati). Questa pratica era legata a credenze nella metempsicosi (trasmigrazione delle anime) e a ideali di purezza e armonia con la natura. Per Pitagora, mangiare carne era visto quasi come cannibalismo, dato che le anime potevano reincarnarsi anche negli animali. Un’altra corrente religiosa e filosofica greca, l’orfismo, praticava forme di ascetismo che spesso includevano l’astensione dalla carne, considerata impura o legata a una condizione di non elevazione spirituale. Anche pensatori come Empedocle ed Epicuro fecero proprie diete vegetariane per ragioni etiche e di salute, promuovendo uno stile di vita in armonia con la natura e il rispetto per la vita animale. Alcune tradizioni religiose locali potevano prevedere l’astensione dalla carne in specifici contesti rituali o per particolari divinità. È importante notare che, al di fuori di questi gruppi specifici, però, la dieta nell’antica Grecia era varia e comprendeva anche il consumo di carne e pesce, soprattutto in contesti rituali o per le classi più abbienti. Ciò vuol dire che la scelta di adottare una dieta priva di alimenti di origine animale era dettata da un’esigenza sacra e non profana. Non era un’esigenza del popolo, degli elementi bassi della popolazione, quella di privarsi della carne o del pesce, ma era una forma di disciplina interiore fondata su una particolare visione del mondo, che fungeva da elemento differenziante per chi apparteneva a una setta o a una scuola.
Nell’Antico Egitto, nonostante alcune divinità fossero venerate in forma animale (e quindi non potevano essere mangiate nelle zone del loro culto), non vi era una pratica diffusa di vegetarianismo su base filosofica o iniziatica. La dieta comune comprendeva carne e pesce, sebbene la popolazione meno abbiente avesse probabilmente una dieta più basata su cereali e vegetali.
A Roma, nei primi periodi, l’alimentazione era prevalentemente vegetariana, basata su cereali, legumi e verdure. Prevedeva pesce e uova, però. Il consumo di carne divenne più diffuso con l’influenza greca e come simbolo di status sociale per le classi aristocratiche. Non si hanno notizie di ordini iniziatici arcaici romani con pratiche vegetariane sancite nei loro codici. In diverse culture antiche, quindi, l’astensione dalla carne poteva essere legata a motivi religiosi specifici, a periodi di purificazione rituale o a offerte votive agli Dei (che spesso prevedevano il sacrificio di animali, ma non necessariamente il loro consumo da parte dei fedeli).
Data la scarsità di fonti dirette e la natura spesso segreta di queste pratiche nelle organizzazioni iniziatiche, possiamo solo fare alcune ipotesi basate su ciò che sappiamo di contesti come il pitagorismo e l’orfismo, che avevano certamente anche una dimensione iniziatica. L’astensione da cibi considerati “pesanti” o “impuri,” come la carne, poteva essere vista come un modo per purificare il corpo e la mente, rendendo l’iniziato più recettivo alle esperienze spirituali e alla conoscenza esoterica. Queste erano le convinzioni di alcune particolari organizzazioni. Tuttavia noi sappiamo che il carattere di separazione e di segretezza era fondamento dell’appartenenza a una forma di iniziazione. Possibile che a noi siano pervenuti degli aspetti estremamente superficiali di queste pratiche rituali e di queste regole.
L’adozione di pratiche alimentari specifiche, come il vegetarianismo, poteva anche servire a distinguere i membri di un ordine iniziatico dal resto della società e a rafforzare il senso di appartenenza e di condivisione di determinati valori e credenze. Senza altre motivazioni.
Difficile, però, pensare che l’eliminazione della carne o del pesce potessero avvicinare l’uomo agli Dei, dal momento che gli Dei sono sempre stati, in tutte le tradizioni, mangiatori di animali che venivano disposti per il sacrificio. Sacrificare significa rendere sacro, ovvero separato, destinato al Dio. E a poter essere sacrificati erano quasi sempre animali, non vegetali.
In conclusione, il vegetarianesimo nelle civiltà arcaiche e negli ordini iniziatici arcaici non era una pratica universale, ma era presente in specifici contesti filosofici e religiosi, soprattutto nell’antica Grecia con i pitagorici e gli orfici. Al di fuori di questi gruppi, la dieta comune nelle civiltà arcaiche era generalmente onnivora, sebbene con variazioni a seconda del periodo storico, della classe sociale e della cultura e civiltà specifica.
Prendiamo in esame, poi, il discorso dell’adattamento fisiologico e genetico dell’uomo a una dieta vegetariana oppure onnivora. L’intestino umano è di lunghezza intermedia tra quello dei carnivori (intestino corto) e quello degli erbivori (intestino molto lungo). Questa caratteristica è spesso interpretata come un adattamento a una dieta onnivora, capace di digerire sia carne che vegetali. Tuttavia, un intestino di media lunghezza è in grado di estrarre nutrienti da una dieta vegetariana ricca di fibre, ma i cibi devono essere cotti, trattati e sicuramente ben masticati. Purtroppo noi sappiamo anche che il mondo vegetale è ricco di antinutrienti e che il 99% almeno delle tossine che ingeriamo proviene da lì. Parliamo di fitotossine.
Continuiamo: il nostro sistema digestivo produce enzimi capaci di digerire sia proteine animali che vegetali, carboidrati complessi e grassi di origine vegetale. La presenza di amilasi nella saliva per la digestione dei carboidrati e di cellulasi (in minima parte, prodotta dai batteri intestinali) ci induce a comprendere che esista una certa capacità di processare materiale vegetale.
La dentatura umana è anch’essa considerata tipica di un onnivoro: abbiamo incisivi adatti a tagliare, canini non particolarmente sviluppati, ma utili per strappare e premolari e molari larghi e piatti ideali per masticare e macinare materiale vegetale. La forma dei nostri denti non è specializzata come quella dei carnivori (canini lunghi e affilati) o degli erbivori (grandi molari piatti e diastema). Questo riflette la nostra capacità di consumare una varietà di alimenti. Sicuramente non abbiamo la dentatura dei carnivori, ma i carnivori non hanno la nostra abilità manuale, la nostra presa, la capacità tecnica – tipica dell’uomo – di portare alla bocca carne e pesce, ma anche di strapparli, tagliarli, ridurli in parti più facilmente digeribili e metabolizzabili, cucinarli.
L’uomo ha, inoltre, sviluppato una notevole flessibilità metabolica, in grado di adattarsi a diverse fonti di energia e nutrienti. Possiamo ottenere proteine quasi complete combinando diverse fonti vegetali e siamo in grado di sintetizzare alcuni nutrienti o di ottenerli in forma biodisponibile da fonti non animali (ad esempio, il ferro non-eme presente nei vegetali può essere assorbito meglio in presenza di vitamina C). Tuttavia, il mondo vegetale non avrà mai la biodisponibilità di ferro e di minerali tipica del mondo animale, per il nostro metabolismo. Immaginate la quantità di legumi e vegetali che dovremmo ingerire per soddisfare le nostre necessità e di come il nostro intestino possa risultare stressato da tale continua e persistente ingestione. Sebbene i nostri antenati abbiano consumato carne per milioni di anni, la proporzione di alimenti vegetali nella loro dieta variava a seconda dell’ambiente e della disponibilità di risorse. Mai, l’uomo, si è alimentato di tanti vegetali come è avvenuto dal Neolitico in poi. È fondamentale sottolineare che una dieta vegetariana debba essere pianificata e bilanciata, tener conto di tutti i nutrienti essenziali (proteine, ferro, vitamina B12, calcio, omega-3, ecc.), per poter risultare adeguata e salutare per la maggior parte delle persone, in tutte le fasi della vita. È poi necessaria l’integrazione di specifici nutrienti (come la vitamina B12, presente principalmente in alimenti di origine animale). Immaginate cosa può accadere alla vostra omocisteina senza un adeguato apporto di B12. Provate a tenere la B12 bassa e l’omocisteina al di sopra del range consentito per qualche mese. Poi vediamo il vostro emocromo e le vostre capacità energetiche.
In sintesi, la flessibilità del nostro apparato digerente e del nostro metabolismo ci permette di adattarci a diverse tipologie di alimentazione. Ma, escludendo intere categorie di alimenti così vaste come l’intero mondo animale e l’intero mondo vegetale, servirà prima o poi una integrazione artificiale. Questo significa dipendenza dalle industrie e dalla tecnica di estrazione e sintesi. Sarebbe naturale questo?
Inoltre, gli esseri umani non possiedono gli enzimi necessari per digerire direttamente la cellulosa, il principale componente strutturale delle pareti cellulari vegetali. Questo è un punto cruciale che distingue il nostro apparato digerente da quello degli erbivori ruminanti (come le mucche) che ospitano nel loro intestino microrganismi capaci di fermentare la cellulosa e renderla una fonte di energia. Mi si dirà che la cellulosa non è fonte di energia per noi: poiché non possiamo scindere i legami beta-glicosidici che compongono la cellulosa, essa transita attraverso il nostro sistema digestivo in gran parte intatta. Tuttavia, nonostante non sia digeribile, la cellulosa svolge un ruolo fondamentale nella nostra alimentazione come fibra alimentare. Essa contribuisce a regolare la motilità intestinale, modulando la peristalsi ed evitando la stipsi. In diverse persone, però, ha l’effetto opposto, la favorisce. Ad esempio, in chi ha colon irritabile e dolicocolon. I conti, quindi, non tornano. Però la verdura è utile a rallentare l’assorbimento di zuccheri e grassi, contribuendo al controllo della glicemia e del colesterolo. Ma anche i grassi e le proteine danno questo effetto, soprattutto sul lungo periodo e non soltanto valutando il carico glicemico del pasto. Si dice poi che la fibra occupi volume nello stomaco, contribuendo a una sensazione di pienezza, ma questo accade solo se si combina ai grassi animali.
Ancora, come altro argomento, conosciamo i benefici della fibra sul metabolismo lipidico: anche se non la digeriamo direttamente, la cellulosa e le altre fibre vegetali sono fermentate dalla nostra flora batterica intestinale, producendo acidi grassi a catena corta (come il butirrato) che hanno effetti benefici sulla salute dell’intestino e sul metabolismo generale. Tuttavia, se consumiamo troppi cereali o amidi, questo beneficio è totalmente inutile.
Ad ogni modo, la nostra incapacità di digerire la cellulosa non è quello che ci rende inadatti a una dieta vegetariana. Al contrario, la cellulosa (e altre fibre vegetali) sono componenti essenziali di una dieta sana, inclusa quella vegetariana, per la loro funzione di regolazione intestinale e per il nutrimento del microbiota. Noi otteniamo energia e nutrienti vitali dagli altri componenti digeribili delle piante.
In sintesi, il nostro corpo è adattabile e può sopravvivere con diverse tipologie di diete. Tuttavia, per una salute ottimale nel contesto moderno, potremmo aver bisogno di considerare integrazioni per garantire l’apporto di nutrienti che potrebbero essere scarsi o meno biodisponibili in una dieta esclusivamente vegetale. Inoltre, i tempi di adattamento a una dieta diversa da quella paleolitica sono geneticamente lunghissimi, mentre le necessità di un cambiamento dietetico culturale ed “etico” sono state rapidissime. Questi cambiamenti hanno provocato indebolimento immunitario e maggiore diffusione di epidemie, dal Neolitico in poi, fino ad arrivare alle epidemie di disfunzioni metaboliche in rapido aumento ai nostri tempi.
Le nostre diete si sono evolute nel tempo e continueranno a farlo. L’accesso al cibo e la comprensione scientifica della nutrizione ci consentirebbero, in teoria, di fare scelte alimentari “etiche”, ma ciò potrebbe comportare l’utilizzo di integrazioni per colmare lacune nutrizionali. Quindi questa “etica”, alla fine, spaccia per naturale un comportamento alimentare che è deficitario e che induce all’acquisto di prodotti industriali.
Inoltre, potrebbe essere illogico pretendere di adottare i criteri morali, decidendo cosa sia etico, rispetto alle leggi naturali. Animali e piante non ragionano per etica. Noi uomini, sì. È questa una forma di evoluzione o di involuzione? Adottare le categorie del bene e del male a comportamenti naturali e istintivi come il bisogno di nutrimento è logico o illogico? Chi decide cosa sia bene e cosa sia male se non strumenti della propaganda e dell’informazione ufficiale? Ci si accorge che sta agendo la propaganda, quando si tenta di sensibilizzare la pubblica opinione con strategie basate sulla risposta emotiva e sul condizionamento che ne deriva. Quando si identificano questi aspetti e questi strumenti non si possono avere dubbi.
Non sono naturali gli allevamenti intensivi e lo sfruttamento degli animali tanto quanto non sono naturali le coltivazioni intensive e lo sfruttamento dei suoli. Lo sfruttamento di elementi naturali deriva dagli squilibri e la perdita dell’equilibrio si riflette tanto sulla natura quanto sullo stato di salute degli uomini.
Per quel che riguarda il rispetto della vita, anche il regno vegetale vive e prospera e si possono considerare le diete vegetariane distruttive e crudeli, da un punto di vista “etico”, anche per il regno vegetale, in modo paragonabile a quelle onnivore o carnivore per il regno animale.
La maggior parte delle riflessioni etiche sul consumo di animali si concentra sulla loro capacità di provare dolore, paura e stress, sulla loro senzienza e, in alcuni casi, sulla loro autocoscienza. Uccidere un animale per nutrimento implica la cessazione di una vita senziente e, spesso, comporta sofferenza. La scienza attuale, infatti, non attribuisce alle piante lo stesso tipo di sistema nervoso centralizzato o di recettori del dolore complessi che si trovano negli animali. Tuttavia questa è una forma di cecità verso i vegetali.
Una prospettiva davvero ecologica considera il valore intrinseco di ogni forma di vita, sia animale che vegetale. Da questo punto di vista, causare la morte di qualsiasi organismo vivente per nutrimento potrebbe essere considerato eticamente problematico. Eppure dobbiamo nutrirci… Che si fa?
Una prospettiva utilitarista cercherebbe di massimizzare il benessere generale e minimizzare la sofferenza. Ci hanno raccontato che le differenze nella senzienza e nella capacità di provare dolore tra animali e piante sono un elemento chiave nelle riflessioni etiche sul cibo.
Ma è etica o propaganda?
Consiglio la lettura dei testi del neurobiologo Stefano Mancuso sulla sensibilità e l’intelligenza delle piante, per rivedere il punto di vista etico sulla scelta della dieta vegetariana. Nel regno animale la predazione e l’uccisione di prede ai fini del nutrimento, non è vista come un male. Nel mondo civile umano è considerato poco etico mangiare carne, pesce o uova ogni giorno ed è considerato più sostenibile alimentarsi di vegetali, cereali e legumi. Tuttavia non viene considerato il costo ecologico della riduzione degli spazi verdi boschivi e incolti per far fronte alle necessità di una ipotetica umanità vegetariana. Significa distruzione di ecosistemi naturali e selvatici e conseguente alterazione della biodiversità animale che vive in questi ecosistemi. L’alternativa, certo, è la coltivazione in idroponica o aeroponica, in laboratorio. In questo modo lo sfruttamento del terreno si riduce fino ad annullarsi. Certo, però, che da qui alla pillola sostitutiva di un pasto e all’alimento essenziale e completo per tutti, il passo è breve. E, da questo punto alla trasformazione dell’uomo in un essere artificiale e distaccato dalla natura, il passo è ancora più breve. Ad ogni modo io non riesco a vedere equilibrio nella scelta di una dieta di totale eliminazione di carne e della totale eliminazione dei vegetali. Vedo il rispetto di ogni forma di vita al di là di una scelta di non alimentarsi di precise forme di vita. Noi siamo eterotrofi, a meno che non riusciremo a diventare organismi fotosintetici in futuro, con la tecnica. Quindi, fino ad allora, dall’ambiente attingiamo nutrimento. Se la morte di un qualsiasi organismo ci nutre, dà vita a noi, quindi la vita non si sottrae se non in un’ottica limitata. La sola possibilità di vivere, per noi, è comprendere la natura e le dinamiche naturali e di non vederle filtrate dalla sola propaganda o finta divulgazione scientifica. Comprendere il nostro corpo e il nostro metabolismo è comprendere la natura. Tutto ci parla, se abbiamo i sensi per ascoltare e vedere, senza filtri morali e quindi esclusivamente umani.